domenica 26 marzo 2017

Multi-threading e interfaccia grafica GTK+

Il multi-threading è la suddivisione di un processo in diversi sotto processi eseguiti in parallelo (o concorrentemente), questo ci permette di eseguire il nostro programma sfruttando la potenza di calcolo di tutti i core presenti nei moderni processori dotati di tecnologia multi-core.

Questa tecnica è molto utile soprattutto per migliorare le prestazioni in presenza di un carico di lavoro pesante, ma è anche utilizzata per preservare la reattività dell'interfaccia grafica in qualsiasi situazione.
Mentre negli anni ottanta era accettabile il fatto di dover attendere davanti al monitor mentre il computer finiva di elaborare l'operazione assegnata, al giorno d'oggi, trovarsi davanti ad un'interfaccia grafica che non risponde a nessun comando ci farebbe subito pensare che il software in esecuzione sia andato in crash o che comunque ci sia un problema.

Quando non è possibile velocizzare un'operazione al punto da renderla quasi istantanea, allora bisogna intrattenere l'utente per ingannare l'attesa. Ad esempio, se l'interfaccia grafica fornisce informazioni sullo stato dell'esecuzione di un'operazione complessa, l'utente attenderà sapendo che il software sta lavorando correttamente.

Iniziamo con il creare una classe che sia in grado di svolgere un compito su un thread separato dal programma principale.



E' una classe molto semplice: ha una variabile membro di tipo double chiamata fraction_done, che ci servirà a simulare l'esecuzione di un lavoro, ed una denominata wrk_mutex, che è di tipo mutex (dall'inglese mutual exclusion, mutua esclusione) fornito dalla standard library per impedire che più thread accedano contemporaneamente agli stessi dati.

Le funzioni membro sono solo due: start_work() che esegue il lavoro e get_fraction_done() che comunica lo stato dell'esecuzione.

All'interno della funzione start_work() troviamo un primo blocco, delimitato dalle parentesi graffe, all'interno del quale si invoca la classe lock_guard, che serve ad acquisire il mutex ed impedire a qualsiasi altro thread in esecuzione di interferire fino alla fine delle parentesi. All'interno di questo blocco protetto, fraction_done è inizializzato con il valore di 0.0.
Successivamente troviamo un loop infinito, all'interno del quale il thread in esecuzione attende 250 millisecondi con la chiamata di funzione sleep_for(), per simulare lo svolgimento di un'operazione complessa.
Quindi c'è un nuovo blocco di codice con una nuova acquisizione del mutex e si incrementa il valore di fraction_done, infine verifica se il lavoro è concluso (al raggiungimento del valore di 1.0) ed esce dal loop.

Ora scriviamo un piccolo programma che utilizza la nostra classe Worker.


Nella funzione main() viene dapprima creata un'istanza della classe Worker, quindi viene creato un nuovo thread che esegue la funzione membro start_work() di Worker. Da questo punto in poi il programma principale è eseguito in modo concorrenziale a start_work(), nel loop infinito all'interno di main() viene richiesto all'istanza di Worker il valore attuale di fraction_done.

Nella funzione get_fraction_done() viene invocata la classe lock_guard per impedire che fraction_done sia modificato mentre se ne comunica il valore.

Quindi viene stampato sul video il valore ottenuto (solo se diverso dall'ultimo ottenuto).
Se il valore ha raggiunto 1.0 allora esce dal loop perché il lavoro è terminato, infine viene invocata la funzione join() per riunire il thread al programma principale prima di rilasciare le risorse allocate e terminare.

Proviamo a compilare ed eseguire


Funziona come volevamo, il thread svolge il suo compito ed il programma principale ci tiene aggiornati sullo stato del lavoro.
Ora proviamo ad applicare la stessa tecnica ad un programma con interfaccia grafica realizzata con la libreria GTK+.

Utilizzerò l'IDE Anjuta per realizzare un nuovo programma GTK+.

Creiamo un nuovo progetto di tipo C++ GTKmm (semplice).
Nelle opzioni del progetto spuntiamo la voce "configura pacchetti esterni"
Spuntiamo il pacchetto pthread-stubs
Dopo aver creato il progetto andiamo a creare l'interfaccia grafica con Glade


Come potete vedere dall'immagine è una finestra con una barra progressiva ed un'etichetta per visualizzare lo stato del lavoro. Subito sotto ci sono i pulsanti per avviare e fermare il thread.

Ora modifichiamo la classe Worker per farla lavorare in un programma dotato di interfaccia grafica.


Analizzando l'header potete vedere l'aggiunta di alcune variabili membro:
- has_stopped - ci servirà per capire se il thread è fermo;
- shall_stop - utilizzato per comunicare al thread l'intenzione di fermarlo;
- caller_notification - questo è un signal che utilizzeremo per comunicare con il programma principale.

Inoltre sono stati aggiunte tre funzioni:
- has_stopped_working() - per sapere se il thread è fermo;
- stop_work() - per fermare il thread;
- signal_caller_notification() - per connettere il signal al nostro programma.

Per finire è stata modificata la funzione start_work(), con l'aggiunta dell'emissione del signal e la possibilità di fermare il lavoro tramite shall_stop.

Ora vediamo il programma principale.


Oltre al file main.cc ho creato una classe Controller che si occupa di gestire l'intera applicazione.
Di solito si trovano esempi o tutorial in C++ che utilizzano GTKmm dove si crea una classe derivata di Gtk::Window e si costruisce l'interfaccia da codice, il mio approccio è differente.
Per prima cosa preferisco creare l'interfaccia grafica con Glade, non vedo il vantaggio di costruirla tramite codice, per quanto riguarda questo pattern, è probabilmente frutto dalle precedenti esperienze di programmazione su OS X con Objective-C.

L'istanza di Controller creata in main() si occupa di recuperare gli elementi dell'interfaccia grafica dal file .ui, quindi in connect_signals() collega i signal dei pulsanti e di due altri oggetti: ctrl_worker e ctrl_dispatcher.
Il primo è un'istanza della classe Worker e collega il suo signal alla funzione on_worker_notification().
Il secondo è un oggetto della classe Gtk::Dispatcher ed è l'elemento fondamentale per garantire il corretto funzionamento del thread di Worker con l'interfaccia del programma principale.
Alla pressione del pulsante start viene creato un thread al quale viene affidata l'esecuzione della funzione start_work() di Worker, il puntatore denominato wrk_thread ne terrà traccia.
Ogni qualvolta il thread emette un signal questo verrà ricevuto dal programma ed eseguirà la funzione on_worker_notification() che, a sua volta, emetterà il signal del nostro ctrl_dispatcher.
Quest'ultimo verrà ricevuto dalla funzione on_dispatcher_notification() che si occuperà di verificare lo stato del thread, aggiornare l'interfaccia grafica ed eliminarlo se fermo.

Questo è il programma perfettamente funzionante.


Provando a non utilizzare l'istanza di Gtk::Dispatcher, collegando il signal di Worker direttamente alla funzione che gestisce il thread ed aggiorna l'interfaccia grafica, finiremmo con un crash dell'applicazione in un momento non precisato dell'esecuzione.


mercoledì 8 marzo 2017

Debian: installazione in modalità UEFI


Gli attuali sistemi basati su firmware UEFI (Unified Extensible Firmware Interface) hanno ormai rimpiazzato i vecchi computer con il BIOS (Basic Input/Output System), utilizzato fin dalla nascita dei primi PC.

Il BIOS ha molte limitazioni dovute alla sua progettazione che risale agli anni ‘80, ma per motivi di retrocompatibilià molte schede madri, oltre al firmware UEFI, supportano il boot in stile BIOS tramite CSM (Compatibility Support Module).

Al giorno d’oggi non c’è alcun motivo per installare Debian in modalità CSM, a meno che non si voglia installarlo in dual boot al fianco di una preesistente vecchia installazione di Windows.


In questa breve guida vedremo come installare Debian in modalità UEFI e come evitare e/o superare eventuali problemi.

Avvio in modalità UEFI

Il primo requisito per poter installare la nostra distribuzione GNU/Linux preferita in modalità UEFI è quello di dover avviare l’immagine disco di installazione da una penna USB in modalità UEFI!

Sembra un’ovvietà, ma spesso questo è il primo errore che si compie. Se il disco di installazione è inavvertitamente avviato tramite CSM, l’installazione proseguirà con la stessa modalità. Visto che sullo stesso sistema non possono convivere due sistemi operativi avviabili in modalità diverse, tanto vale disabilitare il modulo di retro-compatibilità CSM nella configurazione del firmware UEFI e scegliere l’opzione di boot “solo UEFI”.

Tabella delle partizioni GPT

Secondo requisito fondamentale è il partizionamento del disco di destinazione dell’installazione che deve essere di tipo GPT o GUId Partition Table (Globally Unique Identifier) e non il vecchio standard MS-DOS denominato MBR (Master Boot Record).

Proprio come il BIOS, il MBR porta con se molte limitazioni dovute ai limiti hardware del tempo in cui fu progettato, tra le quali la dimensione massima di 2 TB per i dischi di avvio e solo quattro partizioni primarie possibili.

Purtroppo non c’è modo di modificare la tabella delle partizioni durante l’installazione del sistema, quindi dovrete provvedere a preparare il disco di destinazione prima.

Fate attenzione, modificare la tabella delle partizioni comporta la perdita di tutte le partizioni esistenti e quindi di tutti i dati, se avete dati da mettere al sicuro è meglio fare un backup prima di procedere.

Modificare la Tabella delle partizioni con gparted

E’ possibile modificare il partizionamento del disco utilizzando gparted: dopo aver scelto il disco interessato, dal menù Dispositivo selezionare la voce “Crea tabella delle partizioni...” e create una tabella di tipo GPT.

E’ possibile scaricare l’immagine disco live dal sito di Gparted per poterlo avviare tramite una penna USB e preparare il disco interno del vostro PC.


Modificare la Tabella delle partizioni dal Terminale con fdisk


E’ possibile modificare la tabella delle partizioni anche da riga di comando utilizzando fdisk, uno strumento interattivo che permette di gestire le partizioni dei dischi.

La sintassi del comando è molto semplice:


# fdisk /dev/[nome del disco]


Per esempio, se il disco da partizionare è un disco SATA sda1


# fdisk /dev/sda1


Se invece dovete partizionare un moderno SSD M.2 PCIe allora sarà


#fdisk /dev/nvme0n1


Ricordatevi di eseguire questo comando come root.

Una volta invocato, fdisk attenderà i vostri ordini, digitando il carattere m potete visualizzare la lista dei comandi.

Con il carattere g potete creare una nuova tabella delle partizioni GPT vuota.

Completate digitando w per scrivere le modifiche e uscire.

Partizione di boot EFI

Ora che il disco è pronto potete procedere con l'installazione, ma c'è ancora un potenziale problema da sistemare. Quando avete cambiato la tabella delle partizioni avete distrutto tutte le partizioni preesistenti, l'installer di Debian è in grado di creare automaticamente le partizioni necessarie al sistema operativo, ma non si preoccupa di creare la partizione di avvio necessaria per UEFI.

Quindi, quando vi verrà richiesto, scegliete di partizionare manualmente il disco e create una partizione di 200 MB, con filesystem FAT32, punto di mount /boot/efi e spuntate il flag per renderla avviabile.

Ora che avete creato la partizione EFI, potete creare le restanti partizioni da utilizzare con Debian.

Errore nell’installazione del boot loader


Capita a volte che l’installazione del boot loader GRUB 2 fallisca e, dopo la segnalazione dell’errore, ci si ritrova davanti al menù iniziale dell’installer.

Mi sono imbattuto in questo problema durante l’installazione su un SSD con interfaccia M.2 di tipo PCIe, ho risolto nel seguente modo.

Dal menù con l'elenco dei passi dell'installazione selezionate la voce in basso per aprire una shell.

Prima di mostrarvi i comandi vorrei chiarire una cosa, quando aprite una shell dall’installer non avete accesso al sistema che avete installato sul disco, ma siete in un ambiente limitato che risiede in memoria. La root del disco di installazione è montata nella directory target. La prima cosa da fare è creare un collegamento tra le directory di sistema dell’ambiente in memoria e quelle del sistema sul disco, a questo scopo utilizziamo il comando mount con l’opzione bind.


# mount –bind /dev  /target/dev

# mount –bind /dev/pts  /target/dev/pts
# mount –bind /proc  /target/proc

# mount –bind /sys  /target/sys

Ora le directory /dev, /dev/pts, /proc e /sys sono legate a quelle sul disco.

Copiate il file resolv.conf per permettere il collegamento a internet dal sistema sul disco con


# cp /etc/resolv.conf /target/etc


Quindi eseguiamo il comando chroot per poter accedere come utente root al sistema installato sul disco di destinazione.


# chroot /target /bin/bash


Da questo momento in poi state eseguendo dei comandi sul sistema installato, procediamo all’installazione di GRUB.


# aptitude update

# aptitude install grub-efi-amd64
# update-grub

# grub-install –target=x86_64-efi /dev/nvme0n1

Dove nvme0n1 è il disco SSD M.2 PCIe, ma se state installando GRUB su un disco di tipo SATA allora sarà probabilmente sda.


Uscite dalla shell con il comando exit (da eseguire due volte) e scegliete di continuare senza installare GRUB. Vi apparirà un avviso per ricordarvi che senza GRUB il sistema non sarà avviabile, ignoratelo pure e andate avanti fino al riavvio.


Se il problema era causato dal disco SSD M.2 PCIe proseguite con questi passi per evitare di avere problemi di boot al prossimo riavvio, altrimenti fermatevi qui.

Alcuni aggiustamenti per i dischi SSD M.2 PCIe

Una volta riavviato dal sistema installato, aprite il Terminale e aggiungete “nvme” al file /etc/initramfs-tools/modules con


# nano /etc/initramfs-tools/modules


Dopo aver aggiunto una riga con la parola nvme salvate con Ctrl+O e uscite con Ctrl+X.

A questo punto eseguite questo comando:


# update-initramfs -u


Ora modificate il file grub in /etc/default


# nano /etc/default/grub


aggiungete la seguente linea


GRUB_CMDLINE_LINUX="intel_pstate=no_hwp"


Dopo aver salvato eseguite


# update-grub


A questo punto il vostro SSD funzionerà senza problemi.

lunedì 27 febbraio 2017

Custom Arcade Desk: costruire una postazione da sala giochi in puro stile anni '80/'90


In questo post vi parlerò di un progetto che ho realizzato lo scorso anno e che ho battezzato “Custom Arcade Desk”, in pratica si tratta di una scrivania con doppia postazione da gioco per rivivere il fascino delle sale giochi degli anni '80/'90.



Come avrete intuito, se seguite questo blog, il computer al quale ho collegato la postazione da gioco è alimentato da una distribuzione GNU/Linux: Debian 8 (Jessie), recentemente aggiornato a Debian 9 (Stretch).
Comunque è possibile usare qualsiasi altra distribuzione GNU/Linux, incluso Raspbian per Raspberry Pi.

Custom Arcade Desk

Prima di iniziare la carrellata di foto, vediamo la lista dei materiali che ho utilizzato:

- due pannelli in OSB (Oriented Strand Board) da 25 mm di spessore, è un materiale composto da pezzi di legno incollati insieme, in modo simile al truciolato, ma con la caratteristica di essere più resistente;

- un pannello di plexiglas da 3mm di spessore;

- un adesivo permanente polimerico laminato opaco sul quale ho fatto stampare un'illustrazione del gioco Tastunoko vs Capcom;

- una scheda Ultimarc I-PAC 2, è il circuito che si occupa di tradurre i segnali dei pulsanti e del joystick in caratteri e li invia al computer tramite il cavo USB;

- due joystick Sanwa JLF-TP-8YT;

- sedici pulsanti Sanwa OBSF-30 da 30mm di larghezza;

- quattro pulsanti Sanwa OBSF-24 da 24mm di larghezza;

- cavo elettrico mono-polare;

- 20 terminali fastom da 2,8 mm;

- bordo per pannelli preincollato (si applica a caldo con un ferro da stiro);

- flatting per proteggere il legno;

- stucco francese;



Gli utensili necessari per realizzare questo progetto sono:

- un trapano con punte a tazza da 30mm e da 24mm;

- un seghetto alternativo con lame per legno e per metallo;

- una fresatrice per il legno;

- carta vetrata a grana media e fine;

- avvitatore;

- saldatore elettrico;


Una fonte preziosa di informazioni riguardanti i materiali da utilizzare, i diversi costruttori di joystick e pulsanti, nonché i vari schemi di disposizione dei tasti la potete trovare su questo sito.


 Questa era la mia piccola scrivania Ikea modello MICKE che utilizzavo per il computer. Notare come il piano si è era curvato al centro e mostrava segni di cedimento.

L'economica scrivania Ikea MICKE

Ho smontato il piano originale e tolto il cassetto.



Questo è un pannello in OSB da 25 mm, della stessa misura di quello originale, ma il materiale è più pesante e molto più resistente. Ho recuperato e montato gli agganci originali Ikea.

Agganci Ikea montati sul pannello in OSB


Il piano sostitutivo si monta alla perfezione come l'originale


Al posto del cassetto ho montato un altro piano che utilizzo per la tastiera ed il mouse, ho riutilizzato il meccanismo scorrevole per farlo a scomparsa.



Questo è un altro pannello in OSB da 25 mm di spessore, ma di dimensioni maggiori, che estende la scrivania. Sopra c'è un pannello in plexiglas da 3 mm.

Piano superiore con plexiglas e schemi di disposizione dei pulsanti e joystick


Lo schema della disposizione del joystick e dei pulsanti è quello standard utilizzato nelle sale giochi giapponesi.


Di seguito i fori da 30 mm realizzati con una punta a tazza.

Fori da 30mm e catena di fastom per il collegamento a terra dei pulsanti

I due fori da 24 mm per i tasti di servizio, per questi ho utilizzato una mecchia per il legno.

Fori da 24mm e mecchia per legno montata sul trapano

Fori per le due postazioni completati


Fresatura da 3 mm nell'area dove poggia la piastra del joystick.

Fresatura di 3mm di profondità
Il piano delle dimensioni di quello originale è montato su quello superiore di dimensioni maggiori, una fresatura profonda nella parte inferiore della scrivania facilita il montaggio dei pulsanti.

Parte inferiore della scrivania

Dopo aver carteggiato con cura tutta la parte inferiore, ho dato una mano di flatting per proteggere il legno.



Stuccatura del piano per renderlo il più liscio possibile e prepararlo all'applicazione dell'adesivo. Anche sul lato superiore, dopo aver carteggiato, ho passato una mano di flatting.

Il pannello in OSB non è perfettamente liscio e va stuccato

Applicazione del bordo bianco preincollato con il ferro da stiro.

Rifinitura con bordo per pannelli bianco
Questo è il cablaggio completato. Tutti i componenti sono collegati tramite terminali fastom da 2,8 mm, la scheda I-PAC 2 invece è dotata di morsetti a vite.

La scheda I-PAC 2 invia dei caratteri per ogni pulsante premuto o per ciascuna delle 4 direzioni del joystick, proprio come fosse una tastiera, quindi basta un text editor per verificare che tutto funzioni correttamente.

Test di funzionamento con gedit

Applicazione dell'adesivo permanente che ho fatto realizzare su misura, questo adesivo è stato laminato per essere resistente all'usura.

Con l'adesivo applicato l'aspetto è decisamente migliore

Ho montato il plexiglas ed i pulsanti. I joystick sono dei Sanwa con pallina e copri leva in alluminio colorato. I pulsanti sono Sanwa da 30mm e 24mm, la caratteristica forma convessa del tasto li rende ideali per i picchiaduro.

Scrivania completata

Vediamo ora la parte software ed il supporto per Linux.

La scheda I-PAC 2 viene riconosciuta dal sistema immediatamente e senza il bisogno di installare driver.
E'  preimpostata con la mappatura dei tasti del MAME (Multiple Arcade Machine Emulator), ma è possibile rimappare i controlli per mezzo di un apposito programma.
Ultimarc (la casa produttrice, vedi il sito) fornisce il programma per Windows, OS X e indirettamente anche per Linux. La libreria per configurare I-PAC 2 è infatti sviluppata da Katie Snow (vedi il sito) ed è scaricabile dal repository su github (link di github).


Iniziamo con l'installare il MAME inserendo i seguenti comandi come root

# apt update
# apt install mame mame-tools mame-extra

Per poter utilizzare il MAME ovviamente vi occorrono i file di dump delle rom dei videogiochi dell'epoca e questi non sono distribuiti con l'emulatore perché coperti dalle rigide regole del copyright.

Ora scaricate l'ultima versione della libreria Ultimarc dal repository di github (link download), è un archivio tar.gz. Decomprimete l'archivio con il comando:

tar -zxvf nome_file

Attualmente l'ultima versione è la seguente
$ tar -zxvf ultimarc-linux-1.1.update.tar.gz

Ora entrate nella directory con

$ cd ultimarc-linux-1.1

Nel file README ci sono le informazioni per la compilazione della libreria, in particolar modo ci serve sapere quali sono le librerie necessarie e sono le seguenti:

json-c (0.11), su Debian il pacchetto si chiama libjson-c-dev
libusb-dev, su Debian il pacchetto si chiama libusb-1.0-0-dev
libtool

Per finire vi serve il pacchetto build-essential per poter compilare, quindi installate tutto il necessario

# apt install build-essential libjson-c-dev libusb-1.0-0-dev libtool


Un'altra informazione importante che troverete nel file README è la necessità di copiare il file 21-ultimarc.rules nella directory di sistema /etc/udev/rules.d

# cp 21-ultimarc.rules /etc/udev/rules.d
Quindi procedete alla compilazione con
$ ./configure
$ make

Troverete l'eseguibile umtool all'interno della directory src/umtool, si invoca dal terminale e la sintassi è semplice

$ cd src/umtool
 
$ ./umtool ipac2.json

Dove ipac2.json è il nome del file di configurazione della scheda. All'interno della stessa directory ci sono vari file di configurazione di esempio, utilizzate solo i file ipac2 per la vostra scheda I-PAC2 e solo quelli denominati 2015 (la versione 2014 è per le schede più vecchie). Se non trovate i file .json dentro src/umtool allora scaricate da github il file source code e li troverete lì.
Potete aprire il file .json con un text editor e modificare a piacimento la mappatura dei tasti, è un operazione veramente semplice ed intuitiva.

Una volta preparato il file di configurazione basterà invocare il comando umtool per caricarlo sulla scheda. Vi consiglio comunque di conservare sempre una copia del file di configurazione di default.

Buon divertimento!

martedì 21 febbraio 2017

Come creare una RAM disk


Una RAM disk è una porzione della RAM di sistema che viene utilizzata come fosse un disco o un'unità di archiviazione.
Il grande vantaggio è la sua estrema velocità, di molto superiore anche al più veloce SSD in commercio. Il suo punto debole è invece la volatilità dei dati, se il computer si spegne o si riavvia, tutti i file contenuti in essa andranno persi.
Prima di creare una RAM disk, controlliamo la quantità di spazio disponibile in memoria con il comando free. Questo comando mostra il totale della memoria RAM a disposizione, lo spazio attualmente in uso e quello libero. Oltre alla RAM di sistema viene visualizzato anche lo spazio della partizione Swap se presente.

Il comando df invece mostra la quantità di spazio disponibile sulle unità di archiviazione montate.
Sul nostro sistema GNU/Linux abbiamo due diversi tipi di file system da utilizzare come RAM disk:
ramfs è il vecchio tipo di file system in memoria, ormai soppiantato da tmpfs, ed è lo stesso utilizzato da Linux come cache del file system. Ogni volta che avviene l'accesso ad un file sul disco, questo viene memorizzato in una cache in memoria così che, se dopo poco tempo viene richiesto di nuovo, sarà caricato velocemente dalla RAM.
La memoria utilizzata da ramfs è visualizzata dal comando free alla voce cached, mentre non viene visualizzato dal comando df. Inoltre non è possibile sapere la grandezza di ramfs, ne è possibile porre un limite massimo alla sua dimensione. ramfs continuerà a richiedere memoria fin quando il sistema si bloccherà a causa di un errore di out of memory.
tmpfs invece è un file system recente e risolve gran parte dei problemi di ramfs. E' possibile specificare la grandezza massima di tmpfs, se si tenta di occupare uno spazio maggiore otterremo un errore di disco esaurito, proprio come una partizione di un disco. Inoltre è possibile visualizzare tmpfs con il comando df insieme agli altri dischi e sapere quanto spazio c'è a disposizione. Questi vantaggi rendono tmpfs decisamente più gestibile di ramfs, ma c'è un unico lato negativo; se il sistema si trova a corto di RAM, i dati contenuti in tmpfs potrebbero essere scritti sulla partizione di Swap sul disco.

Creiamo una directory che utilizzeremo come punto di mount per la nostra RAM disk.

$ mkdir /mnt/ramdisk

Ora creiamo la RAM disk con il comando mount utilizzando la seguente sintassi:
mount -t [tipo] -o size=[dimensione] [tipo file system] [punto di mount]

Ad esempio creiamo una RAM disk di tipo tmpfs di 512 MB utilizzando come punto di mount la directory ramdisk posta in /mnt

# mount -t tmpfs -o size=512m tmpfs /mnt/ramdisk

Ricordatevi che per usare il comando mount dovete avere i privilegi di amministratore, per farlo potete anteporre “sudo” o utilizzare il comando “su” per eseguire mount come super utente.

Se volete avere una RAM disk sempre disponibile ad ogni avvio del sistema potete aggiungere la sua creazione nel file fstab.

Aprite fstab con l'editor nano (o qualsiasi altro editor di vostro gradimento)

# nano /etc/fstab

Ora aggiungete una riga come questa

tmpfs /mnt/ramdisk tmpfs nodev,nosuid,noexec,nodiratime,size=512M 0 0

Salvate e riavviate e troverete la vostra RAM disk già montata e pronta per l'utilizzo.

Non dimenticate che ogni file al suo interno, al riavvio del sistema, andrà perso!

mercoledì 15 febbraio 2017

Liberacus v3.0 - il programma gestionale per sartorie ha un nuovo database SQLite

Ho rilasciato oggi la versione v3.0 di Liberacus, il software gestionale per sartorie.
La peculiarità di questo aggiornamento è la transizione della gestione dei dati dal formato XML ad un database SQLite 3.



Spendo due parole per spiegare cosa è cambiato per chi non conosce SQLite ed i database in generale.



Prima Liberacus caricava interamente i dati da alcuni file XML, lavorava sugli stessi mantenendoli in memoria per poi salvarli sul disco.
Questo metodo può essere valido per un piccolo numero di dati e comporta comunque il rischio di perdere i dati in memoria se qualcosa va storto, come ad esempio un blackout improvviso.
Un altro problema di questo approccio è che se il numero dei dati diventa elevato, il tempo di caricamento dai file e di salvataggio su disco diventa elevato.

Ora, utilizzando il database SQLite, Liberacus non ha più bisogno di caricare tutti i dati in memoria, ma prenderà dal database, di volta in volta, solo quelli che gli serviranno al momento.
Ad ogni modifica o inserimento di nuovi dati, questi verranno salvati direttamente sul database nel disco. Il rischio di perdere i dati a causa di un blackout è estremamente ridotto.
I tempi di caricamento e salvataggio sono praticamente azzerati anche in presenza di un numero elevato di dati.

Liberacus è un software libero ed open source, siete liberi di scaricarlo, installarlo ed utilizzarlo a piacimento.
Vi ricordo che Liberacus è sviluppato per girare su qualsiasi distribuzione GNU/Linux, non è multi-piattaforma, quindi non chiedetemi come installarlo su Windows o su Mac.

Potete scaricare l'ultima versione da questo link.